Spiti. Il paese di mezzo.

Spiti?!! Questa è l’esclamazione che segue sempre il mio dire “Sono stata nello Spiti”.

In effetti è un nome che indica un luogo geografico non molto conosciuto, nascosto nell’Himalaya indiano e rimasto inaccessibile al turismo fino al 1993. Un nome che significa “Il paese di mezzo” proprio per la sua posizione tra due catene di montagne, il Pir Panjal e l’Himalaya occidentale, e che è stato il corridoio lungo il quale il buddismo è penetrato dall’attuale Pakistan fino al Tibet. Una terra dove i villaggi sorgono a quote di 4000 – 4500 metri e sono circondati da paesaggi mozzafiato, dove la gente è di origine tibetana e dove i monasteri hanno età intorno ai 1000 anni. Il Tibet è a “due passi”. Non lontano da qui, oltre cime alte 7000 metri, la maggior parte delle quali mai solcate da impronta umana, si estende l’altopiano tibetano, nella zona dove si erge il suo monte più sacro, il Kailash. Ma in quella terra un intero patrimonio religioso, culturale, umano, è stato distrutto o comunque è in rovina. Percorrendo i sentieri dello Spiti, facili percorsi che collegano un paese all’altro, incontrando donne, uomini e bambini semplici, che vedendoti da lontano ti aspettano sull’alto di un passo per offrirti una

manciata di piselli appena colti e un timido sorriso, entrando incredula nelle sale più antiche del monastero di Kibber, o di Lhalung, stupefacente per l’originalità delle statue uniche al mondo, o di Dankar con i suoi Gompa incastonati nella roccia in modo improbabile, davanti a questa realtà ho sentito una profonda tristezza per gli amici che si trovano al di là della grande catena himalayana

Lo Spiti però non è solo un preziosissimo scrigno di testimonianze storiche, culturali e religiose vissute ancora quotidianamente; è anche una terra dai colori pastello, accesi ad un tratto da lame di luce settembrina che fendono le nuvole facendo risplendere l’orzo maturo e le anse del grande fiume che dà il nome alla valle e che gioca con sponde fatte di grigia sabbia sulle quali la mano di chissà chi ha creato castelli fantastici, guglie, torri, bastioni imponenti.
Sui pochi tratti coperti dall’erba pascolano capre, yak e cavalli, e tra le montagne si muovono lupi e rari leopardi delle nevi. La vita della gente è dura, come d’altronde in tutti i luoghi così alti e isolati. La valle rimane inaccessibile da ottobre a luglio perchè il Kunzum La (4551 m), uno dei due passi che da Manali bisogna valicare per arrivare nello Spiti, è coperto da metri di neve. Nella valle ogni anno si svolgono importantissime cerimonie religiose, spesso alla presenza del Dalai Lama. Questo ha fatto sì che sia stata sistemata la strada di fondovalle e che in alcuni monasteri siano state costruite nuove e moderne sale di preghiera; ad alcuni puristi del viaggio ciò sembra scandaloso perchè pensano vada a ledere l’autenticità di un miracolo che nei secoli è arrivato intatto fino a noi. Ma si può forse rimproverare a chi abita lì di anelare a una vita un pò meno scomoda, di desiderare la possibilità di contatti con il resto del mondo nei lunghi mesi invernali, di voler avere semplicemente una lampadina accesa nella propria casa?
Lo Spiti è ancora una terra di frontiera. Le strutture di ricezione dei pochi turisti sono praticamente inesistenti, la purezza di un sorriso è ancora tale, le montagne risplendono coi loro ghiacciai vergini. Perchè dovremmo volere di più?

Il “paese di mezzo” regala a chi è curioso e desideroso di conoscere la grande opportunità di realizzare tutto ciò, lontano da quel turismo che, anche se non è ancora di massa, sta divenendo davvero molto pressante, e consente di vivere un’esperienza in una terra dove la libertà della gente garantisce che in quello che si vede non ci sia finzione. Affinché questo continui bisogna che i turisti, i trekkers, gli alpinisti, prestino attenzione ai passi che fanno, e divengano meno superficiali e più “leggeri” nel loro muoversi tra terre e genti che con grande difficoltà riescono a mantenere l’equilibrio di un passato che prosegue nel presente.

Julè, julè!!!

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