Frammenti di tempo

23 maggio 2003 – Alta valle del Khumbu

Il sentiero segna la parete che ripida scende verso il fiume sottostante o sale verso la cresta nitidamente profilata contro il blu del cielo. Ogni cosa dipende sempre dal punto di vista dal quale la si guarda. Il mio passo è veloce ma tranquillo. Il respiro calmo, regolare e profondo. I pensieri spaziano toccando le cose più diverse, liberi protagonisti della mia mente. Lo sguardo sfiora ciò che sta attorno, senza fretta, in un modo all'apparenza distratto ma che coglie l'essenza stessa delle cose. L'ondeggiare dei licheni appesi alla volta della foresta lontana, il bianco accecante della neve, un bruco che attraversa il mio cammino. Mi perdo ad osservare l'ombra del mio corpo che mi precede di poco, fantasioso disegno creato dal sole altissimo sopra di me. Per un momento siamo la stessa cosa, poi nell'istante successivo il nero profilo si sposta di un po' quasi a voler scherzare in un semplice gioco. Ma d'improvviso cambia qualcosa. L'ombra diviene più grande e per una breve frazione di tempo non riesco a capire perché. Il profilo unito al mio corpo è quello di un'ala. Sollevo il mio capo e lo volgo alla valle che sto costeggiando. Poco sopra di me, ma così vicina da poter vedere ogni singola piuma, un'aquila, le grandi ali dispiegate nell'aria calda di metà giornata. Continuo il cammino perché lei mi invita a farlo e quasi fianco a fianco procediamo per un tratto comune, mentre intorno tutto il resto sembra non esistere più. Non riesco a distogliere gli occhi dal suo corpo possente e mi sembra quasi di volare con lei. Il tempo ….. Non so …. Poi un ultimo sguardo tra noi, quasi un lampo ad unire due esseri pieni di vita, un battito d'ala e via, fino all'altra parte della valle, lasciandomi sola nel tentativo di rimettere i piedi per terra…. Forse ho davvero volato con lei ……

 

2 giugno 2003 - Lobuche

Non molto tempo è trascorso da quando siamo giunti quassù avvolti dal bianco turbinio dei fiocchi di neve portati dal freddo vento del Tibet. Per alcuni giorni lattiginose nuvole hanno coperto il cielo mentre la terra tratteneva dentro di sé ogni accenno di vita nuova. Ma poi qualcosa è cambiato. Non lentamente come di solito avviene alle nostre quote e alle nostre latitudini, ma d’improvviso, quasi dalla sera alla mattina. Una notte limpida, migliaia di stelle, e il giorno dopo un sole sfolgorante ha riscaldato ogni anfratto, ogni dolce versante di collina, ogni cresta protesa verso il blu. Il ghiaccio ha iniziato a scricchiolare, l’acqua a scorrere e piccoli fiori spesso invisibili ad un occhio non attento hanno fatto capolino, le corolle striscianti per terra, forse per timore di esser ancora catturate dal freddo avvezzo a scherzare e tornare d’improvviso dopo essersi nascosto per un po’. Così ecco lievi pennellate di colore sull’arida terra. Rosa, violetto, un accenno di giallo.

D’un tratto la vita ha ripreso un ritmo più intenso, sapendo di non aver molto tempo per riprodurre se stessa. Gli uccelli dispiegano le ali e compiono virate improvvise inseguendo chissà quali prede. I cuccioli sono usciti dalla tana profonda e il loro pelo folto e caldo si sta beando del calore del sole che li rende ogni giorno più forti. Il piccolo yak, seguendo da vicino la madre, compie balzi che sembrano essere quasi gioiosi, o forse sono solo giocosi. La primavera è per tutti finalmente arrivata. E le immense montagne fan da superba e preziosa corona a tutto questo splendore.

 

4 giugno 2003 - Lobuche

Mi sveglio, mi stiro ben bene dentro al sacco a pelo. Devo alzarmi lo so, ma ….nepali time!  Guardo fuori dalla finestra e …. una bianchissima coltre di neve copre ogni cosa! Penso ai fiori appena spuntati … sì, se la caveranno anche questa volta. Poi qualcosa attrae il mio sguardo. Un uomo si guarda attorno quasi smarrito. E’ un nepalese di Kathmandu, venuto quassù per seguire un corso di gestione tecnica. Sul muretto ha costruito qualcosa che sembra un buffo pupazzo di neve. L’uomo rimane un po’ assorto, poi lentamente fa qualche passo sollevando la neve coi piedi, come se non avesse mai visto il bianco mantello. Un pensiero si fa strada nella mia mente ancora annebbiata. Sì, ecco cos’è! Mi vesto ed esco andando verso di lui. Sembra anch’egli un pupazzo chiuso nella sua gonfia giacca a vento arancione. “Good morning Sanjey” gli dico. Lui si volta verso di me e il suo smagliante sorriso si allarga, fino a giungere ai profondi occhi scuri. “Good morning Patricia” mi dice. “Sai, è la prima volta che vedo la neve, vorrei che i miei bimbi fossero qui. Sono un uomo davvero fortunato.” Ecco cosa può essere la felicità. Aver la fortuna di vedere la neve.

 

8 giugno 2003 – Kala Pattar

Sembra quasi che il tempo non scorra più. Tutto è immobile, silente, coperto dalla nebbia salita dalla valle. Siamo partite insieme, la nebbia ed io. Lei da molto lontano, dalla foresta che l’ha trattenuta tutta la notte. Io dalla Piramide, dove l’ora prima dell’alba è stata radiosa.

Il sole è sorto da dietro il Nuptse e il suo calore ha scacciato il freddo che era dentro di me, sciogliendo i nodi che legavano troppo stretta la mia anima. Percorrendo la lunga morena che racchiude il ghiacciaio del Khumbu ho incontrato batuffoli gonfi di piume di ogni colore e mi sono chiesta chi avesse portato tra quelle montagne esotici pezzetti di equatore. Nessun essere umano sulla mia strada. Ho sentito però che qualcosa era dietro di me. Sì, la nebbia, ma ancora lontana. Un passo, un altro, un gruppo di lodge, la solitudine. La salita è divenuta più erta. Le montagne ancora più vicine. Pensieri: “Forse se allungo una mano posso toccare la vetta del Pumo Ri”.  L’ho fatto. E l’ho toccata.
Due cani. Ciao amici conosciuti poco tempo fa. Altri pensieri: “Sì, è vero, sono felice”. Ciao amiche montagne dai nomi illustri, un saluto alle vostre aeree creste, ai vostri versanti impervi, ai solchi che profondi solcano i vostri fianchi. Un saluto agli Spiriti che su di voi hanno dimora. Una preghiera: “Pace. Pace per la nostra Terra, pace per gli uomini, pace per me”. Siedo in uno spazio colmo di pura bellezza. Contemplo ciò che mi circonda. Lentamente tutto sta entrando nel profondo di me. E i confini non sono più confini. Tutto diviene un nodo infinito. E’ giunta la nebbia. Immobilità quasi totale. Mi accorgo solo di star respirando. Inspiro. Espiro. Con la Montagne che sono tornate a dormire.

 

10 giugno 2003 – Pheriche

Scendiamo. Il monsone è arrivato e la piana si è trasformata in un giardino. Quattromilatrecento metri di quota. Erba, fiori, animali al pascolo. Avevo un sogno. Vedere un papavero blu. L’ho visto. E ora so che anche i sogni si possono avverare.

 

La valle del Khumbu

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